considerazioni sui mondi virtuali

venerdì 30 novembre 2007

Benvenuti sulle strade del virtuale!

“Esseri umani, gente di qui e di ogni luogo, voi che siete trasportati nel grande movimento della deterittorializzazione, voi che siete innestati sull’ipercorpo dell’umanità alle cui gigantesche pulsazioni il vostro polso fa eco, voi che pensate riuniti e dislocati nelle maglie dell’ipercorteccia delle nazioni, voi che vivete assorbiti, dilaniati, in questo immenso accadimento del mondo che torna incessantemente a sé e nuovamente si crea, voi che, bruscamente, venite proiettati nel virtuale , voi che parteciperete all’enorme salto che la nostra specie sta compiendo verso la sorgente del flusso dell’essere, sì, al cuore stesso di questo straordinario turbinio, voi siete a casa. Benvenuti nella nuova dimora del genere umano. Benvenuti sulle strade del virtuale!"


Pierre Lévy, Il virtuale, Milano ,Raffaello Cortina Editore, 1996, p.142


lunedì 26 novembre 2007

La natura di Second Life

Mi è stato chiesto di rispondere alla seguente domanda: cos’è Second Life? cosa non è Second Life?

Brevemente dico:

Second Life è:

- uno spazio della memoria, un non-luogo

- una realtà virtuale intesa come uno spazio creato da un computer dove l’essere umano può visualizzare, manipolare ed interagire con un insieme di dati estremamente complessi

- una commistione di nuovi media, un valido strumento per la comunicazione

- un paradigma per i mondi virtuali a venire

- un luogo perfetto per costruire una fenomenologia del virtuale

- una società a responsabilità limitata

- una potenziale piattaforma per l’arte e per il business

Second Life non è:

- un gioco

- un mondo da contrapporre alla realtà

- semplicemente una chat o un luogo d’incontro

- la panacea per i mali della società

- una via di fuga dal reale

martedì 20 novembre 2007

Contro i realisti

Oggi vi voglio presentare un “realista”. Chi è costui?!? Chiederete sobbalzando sulla sedia –ehi, siete così impressionabili? –

Un realista è uno strenuo difensore della realtà, un sostenitore delle “cose vere che si possono toccare con mano”, insomma un paladino che vorrebbe uccidere tutti i fantasmi del virtuale con la spada della concretezza.

Solitamente è così cocciutamente arroccato a difesa dei suoi valori che farlo ragionare attorno alla penetrazione del virtuale in ogni ambito del quotidiano è francamente impossibile. E non sprecate il vostro tempo cercando di convincerlo che il virtuale non è da intendere come antitesi del reale bensì come una sua potenzialità….a meno che non abbiate nessun modo migliore per trascorrere il pomeriggio.

Ho incontrato realisti ovunque: al pub, tra le mura dell’università, in piazza e ahimè in massa nel loro habitat: la scatola rettangolare chiamata televisione. Sentire una pseudogiornalista con le labbra gonfie come canotti – tirata a lucido con ogni trucco permesso dal teleschermo - denigrare Second Life e osannare il “naturale” ricordando le sue origini contadine è cosa da far gelare il sangue. Preferisco non rivelare il nome della suddetta. Vorrei negarle anche il privilegio della citazione.

La lotta al virtuale diviene una missione per il realista. Non perderà occasione per ravvisarci della pericolosità dei mondi sintetici. Ad una conferenza su Second Life ricordo l’intervento di una signora, sinceramente preoccupata per la sorte dei suoi figliocci che in tono perentorio affermò “abbiamo la responsabilità di informare i giovani della minaccia dei mondi virtuali”. Me la figuro armata di opuscolo intenta a citofonare ogni campanello della città per sensibilizzare la popolazione.

I realisti rientrano nella categoria degli scettici del progresso. Il problema dell’opportunità di spingere la nostra ricerca scientifica in ambiti oscuri e potenzialmente disastrosi per l’umanità è complesso e richiede una trattazione specifica che rimarrà una delle velleità di questo blog.

Vorrei comunque chiudere il discorso citando George Steiner che nel libro Nel castello di Barbablù ci dà il suo illustre parere sulla questione:

“Apriamo le porte successive del castello di Barbablù perché ci sono, perché ognuna conduce alla prossima con una logica di intensificazione che coincide con la stessa coscienza che la mente ha di essere. Lasciare una porta chiusa sarebbe non solo codardia ma tradimento (radicale, automutilamento) dell’atteggiamento indagatore, avido di sapere, proteso in avanti, che caratterizza la nostra specie. Siamo cacciatori della realtà, ovunque essa ci conduca. I rischi e i disastri a cui si va incontro sono fin troppo evidenti; ma tale è, o è stato fino a tempi molto recenti, l’assiomatico presupposto, tale è stata la convinzione a priori nella nostra civiltà: l’uomo e la verità sono compagni, le loro strade si protendono in avanti e sono dialetticamente congiunte.”[1]

Steiner a questo punto si chiede se l’assioma del progresso inarrestabile deve essere messo in discussione. La risposta è negativa. Scrive:

“Non possiamo tornare indietro. Non possiamo scegliere i sogni degli ignari. Apriremo, ne sono convinto, l'ultima porta del castello, anche se conduce, forse proprio perché conduce, a realtà che oltrepassano la sfera della comprensione e del controllo umano.”[2]

La mente umana procede in avanti nella sua ricerca e le scienze informatiche hanno tracciato sentieri che la nostra curiosità ci spingerà a praticare. Non voglio negare le possibili implicazioni negative di una società fortemente virtualizzata. Ritengo però che il "bigottismo" dei realisti sia altrettanto controproducente.

Siamo cacciatori della realtà e questa realtà la stiamo cercando – per alcuni paradossalmente, ma non per me – nel virtuale. Non è plausibile un ritorno.

Perché, e concludo con una frase di Michel Houellebecq estrapolata da un’intervista su Le Monde: “Certe cose sono irreversibili. Tutto quello che la scienza può permettere sarà realizzato, anche se ciò modifica profondamente quello che noi consideriamo oggi come umano, o come auspicabile".



[1] George Steiner, Nel castello di Barbablù, Milano, SE, 2002, p. 123

[2] Ibid., p. 126

domenica 18 novembre 2007

La possibilità di un'isola

“[…] ciò che cerchiamo di creare è un’umanità artificiosa, frivola, che non sarà mai più toccata dalle cose serie né dall’umorismo, che vivrà fino alla morte in una ricerca sempre più disperata del fun e del sesso; una generazione di eterni kids […] ”1


Così Houellebecq ci descrive la società di domani. Ma questo mondo de-responsabilizzato e sessodipendente è già una realtà nel metaverso: sono centinaia le sim che reggono la propria autonomia sullo shopping sfrenato e sul sesso virtuale, dove tutto si compra, nulla è problematico, dove la filosofia imperante è quella dell'eccesso. Isole virtuali che sono oasi del piacere, templi dell'edonismo, non luoghi dove l'uomo occidentale può esercitare senza riserve il suo diritto al divertimento.






1 Michel Houellebecq, La possibilità di un'isola, Milano, Bompiani, 2007, p. 32

mercoledì 14 novembre 2007

Pierre Levy e la virtualizzazione

La parola virtuale proviene dal latino medievale virtualis, derivato, a sua volta, da virtus, forza, potenza. Nella filosofia scolastica virtuale è cioè che esiste in potenza e non in atto. Il virtuale tende ad attualizzarsi, senza essere tuttavia passato a una concretizzazione effettiva o formale. L’albero è virtualmente presente nel seme. Volendosi attenere rigorosamente al ragionamento filosofico, il virtuale non si contrappone al reale ma all’attuale: virtualità e attualità sono solo due diversi modi di essere.”1


Nel libro Il virtuale Pierre Lévy, filosofo e docente universitario, affronta il lungo cammino della virtualizzazione che è fenomeno da sempre presente nella storia dell’uomo: è virtualizzazione il linguaggio, la tecnica, il contratto, l’arte.

Ma che cos’è la virtualizzazione? Lévy scrive “La virtualizzazione può essere definita come il movimento contrario all'attualizzazione. Essa consiste nel passaggio dall'attuale al virtuale, nell'elevare a potenza l'entità considerata. La virtualizzazione non è una derealizzazione (la trasformazione di una realtà in un insieme di possibili), ma un cambiamento di identità, uno spostamento del centro ontologico dell'oggetto in questione: anziché definirsi fondamentalmente attraverso la sua attualità (una soluzione), l'entità trova ora la propria consistenza essenziale in una campo problematico.”2


Lévy vuole sfatare il pregiudizio che vede il virtuale come qualcosa di contrapposto al reale. Il virtuale deve essere inteso invece come una possibilità, un potenziale.





1 Pierre Lévy, Il virtuale, Milano ,Raffaello Cortina Editore, 1996, p.5

2 Ibid., p. 7-8

lunedì 12 novembre 2007

Ricchi e poveri



La tabella riportata sopra è aggiornata di mese in mese nella pagina delle statistiche economiche del sito della Linden (link)

I dati in questione si riferiscono all’andamento del Linden Dollar Flow dei residenti dei Second Life negli ultimi 6 mesi. Di che cosa si tratta? Del guadagno netto in Linden Dollars totalizzato per ogni mese di permanenza nel metaverso, escluse le spese per l’acquisto e vendita delle land. In pratica il proprio stipendio virtuale, esentasse.

Cosa posso dire dopo un’attenta analisi di questa tabella? Che la società di Second Life è fortemente gerarchica e il divario tra ricchi e poveri immenso. Solo 150 residenti – a fronte di una popolazione attiva di circa 500000 avatar – guadagnano più di 5000 USD (dollari statunitensi) mentre la maggioranza della popolazione ha un ricavo inferiore ai 10 USD. Questi ricchi sono i maggiori proprietari terrieri e dispongono di un patrimonio tale che mi sembra strano che ancora nessuno di loro abbia deciso di costruire il proprio deposito modello Paperon de’ Paperoni dove cimentarsi nel nuoto sincronizzato tra le monete - virtuali - d’oro zecchino.

mercoledì 7 novembre 2007

Osmosi lenta

Marshall Mcluhan disse che ogni tecnologia viene interpretata nei termini di quella che l’ha preceduta: ad esempio l’automobile era inizialmente vista come una carrozza senza cavalli, la televisione come una radio con le immagini. A tale regola non sfugge la realtà virtuale che viene ancora considerata una copia della realtà fisica con alcune caratteristiche speciali. Ecco spiegato il motivo del perché in Second Life si cerchino di replicare fedelmente alcuni aspetti della realtà che in un mondo sintetico non hanno motivo di esistere.

Un esempio? Pensate all’architettura, che il Second Life è spesso a misura d’uomo e non a misura di avatar. Potreste spiegarmi altrimenti la presenza di scale, totalmente inutili in quanto l’avatar può spostarsi volando? E questo è solo uno degli innumerevoli aspetti del metaverso pedissequamente copiati dalla realtà in modo che definirei “passivo” dai creativi di Second Life.

Il giornalista Gianluca Nicoletti ha forse individuato il nodo centrale del problema: il residente che entra in Second Life necessità di un’osmosi lenta tra la sua vita reale e quella virtuale. Non è preparato ad accettare un cambiamento repentino e totale e tende perciò a ricostruire alcuni aspetti della sua esistenza quotidiana, pleonastici nel metaverso, ma necessari per farlo sentire a suo agio.

martedì 6 novembre 2007

Realtà virtuale: una definizione (2)

L’espressione “realtà virtuale” può essere considerata a tutti gli effetti un ossimoro? È una categoria generale alla quale possiamo ascrivere tutti gli ambienti simulati da un computer o dobbiamo fare delle precise distinzioni? La natura ambigua del termine allude ad una confusione tra reale e simulato sintomatica nella società moderna?

Uno dei primi scettici riguardo all’uso di questo termine fu Warren Robinett – game designer e programmatore – che al convegno “Hip Hype Hope” tenutosi nel 1990 al SIGGRAPH lo definì “un ingegnoso ossimoro” e dichiarò di preferire l’espressione “esperienza sintetica”. Ammise però che era molto improbabile l’abbandono di un termine divenuto ormai di pubblico dominio.

In effetti, nonostante gli attacchi più o meno riusciti da parte di ricercatori e studiosi di scienze informatiche, l’espressione “realtà virtuale” si è sedimentata nella nostra lingua, affiancata però da una schiera di sinonimi/epigoni: “mondo sintetico”, “mondo virtuale”, “realtà artificiale” per i quali è necessaria una trattazione specifica.

Benjamin Woolley, nel primo capitolo del suo libro Mondi Virtuali, si sofferma sull’espressione “realtà artificiale” e così scrive “potrebbe essere un ossimoro: una figura retorica che utilizza un’apparente contraddizione allo scopo di suggerire una realtà molto più profonda.”[1]

In pratica considera questo termine una spia dell’atteggiamento ambiguo della società moderna verso la realtà.

A tale riguardo, due sono le linee di pensiero tracciate dalla filosofia sul finire del secolo scorso: quella di Barthes e Baudrillard che sostengono che il reale è una costruzione politica e storica, un mito da sfatare; e quella dei “realisti”, tra i quali si annovera Woolley stesso, che ritengono che l'esistenza di un mito della realtà non basti a significare che essa stessa sia un mito. Posizioni certamente antitetiche, inconciliabili, come i due termini di un ossimoro.




[1] Benjamin Woolley, Mondi Virtuali, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, p. 18

domenica 4 novembre 2007

Realtà virtuale: una definizione

Cosa indichiamo esattamente con il termine “realtà virtuale”?

Una possibile definizione è la seguente: la realtà virtuale è una spazio creato da un computer dove l’essere umano può visualizzare, manipolare ed interagire con un insieme di dati estremamente complessi.

Schematizzando, una realtà virtuale è caratterizzata da:

  • la presenza di spazio simulato da un computer, uno spazio della memoria nel quale l’utente è proiettato con gradi e modalità di immersività differenti

  • l’interazione uomo-macchina

  • la mole dell’informazione gestita



Chi ha introdotto il termine “realtà virtuale”?

Jaron Lanier, uno dei pionieri in questo campo, che parlò per la prima volta di “virtual reality” al SIGGRAPH (Special Interest Group on GRAPHics and Interactive Techniques) del 1989. Il SIGGRAPH è un convegno annuale organizzato da specialisti della grafica computerizzata.


Al SIGGRAPH Lanier parlò della realtà virtuale in questi termini: “È molto difficile da descrivere se non si è provata. Ma c’è un’esperienza che consiste nel sognare che non c’è nulla di impossibile, che qualsiasi cosa può accadere, che si è in un mondo assolutamente aperto, in cui l’unica limitazione è la propria mente. Ma il problema è che si è lì da soli, tutti soli con se stessi. E quando ci si risveglia si deve rinunciare a tutta quella libertà. Tutti noi abbiamo sofferto da bambini un terribile trauma che poi abbiamo dimenticato, quando abbiamo dovuto accettare il fatto che siamo degli esseri materiali, e che tuttavia, nel mondo materiale in cui dobbiamo fare delle cose, siamo molto limitati. Quel che mi sembra così emozionante della realtà virtuale è che essa ci restituisce quella libertà. Ci dà la sensazione di poter essere quello che siamo senza alcun limite, e ce la nostra immaginazione sia diventata oggettiva e che possiamo farvi partecipare altre persone1





1Benjamin Woolley, Mondi Virtuali, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, p.26

venerdì 2 novembre 2007

Il decalogo del web

Durante l’ultimo incontro organizzato dal communication village sono state discusse le 10 proprietà che hanno portato al successo del web. Le elenco brevemente:

  1. Universalità = capacità di ampliare/ridurre le distanze geografiche.
  2. Mediazione
  3. Esternalità di rete = il valore di un prodotto aumenta con l’aumentare dei consumatori che lo utilizzano (legge di Metcalfe: “L’utilità e il valore di una rete sono pari ad n^2 – n, dove n è il numero degli utenti
  4. Canale di distribuzione = canale per la diffusione di prodotti e servizi a elevato contenuto di informazione, per questo digitalizzabili con il minimo sforzo (es. file audio, file video, biglietti per mezzi di trasporto e per eventi, prodotti/servizi bancari e assicurativi, news, ecc.).
  5. Utilizzo del tempo = migliore fruizione del tempo degli utenti i quali trovano informazioni, prodotti e servizi con pochi click del mouse, ovunque ci si trovi, 7 giorni su 7, 24 ore su 24.
  6. Capacità virtuale infinita = possibilità potenzialmente illimitata di soddisfare i bisogni del consumatore.
  7. Standard a basso costo = computer e connessione a Internet, almeno nei paesi economicamente avanzati, hanno costi di acquisto e di mantenimento relativamente bassi perché questo tipo di tecnologia possa essere posseduta da un alto numero di persone.
  8. Distruzione creativa = processo di mutamento industriale innovativo ed evolutivo.
  9. Riduzione delle asimmetrie informative = la conoscenza delle informazioni dei soggetti protagonisti della transazione è potenzialmente equiparabile affinché il soggetto con minori conoscenze ne acquisisca di maggiori.
  10. Riduzione dei costi di transazione

Questi punti valgono anche per Second Life?

I punti 1, 2 e 3 certamente. Secondlife è un crogiolo culturale dove abitanti di tutto il pianeta si ritrovano a condividere lo stesso spazio virtuale, uno spazio della memoria dove maggiore è il numero di avatar/residenti maggiore è la possibilità di mediazione.

Il punto 4 richiede una considerazione: non tutti i prodotti e servizi ad elevato contenuto di informazione sono adatti al metaverso: ad esempio non ci sono vantaggi tangibili nel trattare prodotti/servizi bancari in SL; oppure si pensi ad una canale informativo: sarà molto più efficace e l’informazione potrà essere diffusa in modo più capillare sfruttando l’rss piuttosto che con gli strumenti forniti da Second Life.

I punti 5 e 6 sono controversi: Second Life è aperto 24 ore su 24 ma alcuni servizi potranno essere fruiti solo in presenza del gestore che naturalmente non potrà sempre essere connesso. Sulle possibilità potenzialmente illimitate di soddisfare i bisogni del consumatore dubito per il web e ancora di più per Second Life.

Il punto 7 vale, anche se bisogna considerare che il motore grafico di Second Life richiede un computer di fascia medio/alta, una tecnologia non accessibile a tutti anche nei paesi economicamente avanzati.

Condivisibili sono anche i punti 8, 9 e 10.

Quali sono invece le proprietà specifiche di Second Life non condivise con il web? Nei prossimi incontri al communication village cercheremo di definirle.