considerazioni sui mondi virtuali

mercoledì 14 novembre 2007

Pierre Levy e la virtualizzazione

La parola virtuale proviene dal latino medievale virtualis, derivato, a sua volta, da virtus, forza, potenza. Nella filosofia scolastica virtuale è cioè che esiste in potenza e non in atto. Il virtuale tende ad attualizzarsi, senza essere tuttavia passato a una concretizzazione effettiva o formale. L’albero è virtualmente presente nel seme. Volendosi attenere rigorosamente al ragionamento filosofico, il virtuale non si contrappone al reale ma all’attuale: virtualità e attualità sono solo due diversi modi di essere.”1


Nel libro Il virtuale Pierre Lévy, filosofo e docente universitario, affronta il lungo cammino della virtualizzazione che è fenomeno da sempre presente nella storia dell’uomo: è virtualizzazione il linguaggio, la tecnica, il contratto, l’arte.

Ma che cos’è la virtualizzazione? Lévy scrive “La virtualizzazione può essere definita come il movimento contrario all'attualizzazione. Essa consiste nel passaggio dall'attuale al virtuale, nell'elevare a potenza l'entità considerata. La virtualizzazione non è una derealizzazione (la trasformazione di una realtà in un insieme di possibili), ma un cambiamento di identità, uno spostamento del centro ontologico dell'oggetto in questione: anziché definirsi fondamentalmente attraverso la sua attualità (una soluzione), l'entità trova ora la propria consistenza essenziale in una campo problematico.”2


Lévy vuole sfatare il pregiudizio che vede il virtuale come qualcosa di contrapposto al reale. Il virtuale deve essere inteso invece come una possibilità, un potenziale.





1 Pierre Lévy, Il virtuale, Milano ,Raffaello Cortina Editore, 1996, p.5

2 Ibid., p. 7-8

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