considerazioni sui mondi virtuali

giovedì 18 ottobre 2007

Connessionismo e intelligenza artificiale

Laney è un’analista quantitativo. Il suo lavoro consiste nel collegarsi al cyberspazio e cercare nel flusso di informazioni dei “punti nodali”, degli agglomerati di dati nei quali è possibile comprendere e prevedere l’andamento di un determinato fenomeno, che sia il comportamento di un personaggio famoso o il piano di marketing di una multinazionale. “È come vedere le cose tra le nuvole, ma le cose ci sono” ci dice lo stesso Laney.


Chia è la caposezione di un fanclub di un duo rock, i Lo/Rez e viene mandata a Tokyo per raccogliere informazioni su una notizia annunciata da Rez, voce del gruppo, il quale afferma di avere l’intenzione di sposare un aidoru, un idolo virtuale, un agente software.

Anche Laney è a Tokyo, per indagare sulla stessa cosa.


Non svelo altro della trama di Aidoru romanzo cyberpunk del maestro del genere, William Gibson, pubblicato in Italia nel 1997 da Mondadori. Non vorrei fare il guasta-lettura.


Vorrei invece soffermarmi sulla figura dell’aidoru che Gibson definisce un’Antartide di dati, una simulazione affascinante tanto da convincere una rockstar del mondo reale ad unirsi con lei in un matrimonio. Rei Toei, questo il suo nome, è un agente software in costante evoluzione che grazie all’unione con Rez potrà raggiungere una nuova prospettiva d’esistenza, una nuova consapevolezza del proprio essere.


Quello del software che prende coscienza di sé non è solo un topos della fantascienza ma anche un teoria scientifica – o forse sarebbe meglio dire pseudoscientifica -.

Facciamo un passo indietro: anni ’80, USA. Un nutrito gruppo di ricercatori lavora allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Tra questi Hans Moravec ricercatore all’istituto di robotica della Carnegie Mellon University. Moravec è da sempre ottimista sulle possibilità di sviluppare un’intelligenza artificiale credibile (è convinto che entro il 2030 costruiremo computer con la capacità di elaborazione del cervello umano e dal prezzo accessibile a tutti). In quegli anni portò avanti l’idea della “generazione spontanea” del pensiero in una macchina complessa regolata da un semplice insieme di regole.

La teoria dell’intelligenza emergente entrò a far parte del movimento del Connessionismo, un modello delle scienze cognitive ideato da Rumelhart & McClelland e il PDP Research Group nel 1986 che cerca di studiare il funzionamento della mente umana paragonandolo ad un sistema di reti neurali non dissimile da quello di una rete informatica.


Gli studi del movimento connessionista hanno generato una serie di idee subito colte dagli scrittori e sceneggiatori di fantascienza. Il mito dell’intelligenza emergente è centrale nel romanzo capostipite del cyberpunk, Neuromante di William Gibson, nel quale due complessi software presenti nella rete decidono di fondersi per creare un’entità superiore. Anche nella saga cinematografica Terminator si narra della presa di coscienza di Skynet, una rete di calcolatori progettata per la difesa militare. In Ghost in the Shell (manga creato da Masamune Shirow dal quale è stato tratto un anime) uno dei protagonisti è un cybercriminale ricercato dalla polizia che si rivela poi essere un’intelligenza artificiale.


Poteva il mondo di Second Life essere impermeabile al mito dell’agente software? No di certo. In questi ultimi mesi molti sforzi sono stati profusi nel tentativo di creare avatar capaci di muoversi autonomamente nel metaverso e interagire in modo credibile con gli utenti umani. Ho contattato un programmatore che sta lavorando ad un progetto di questo genere e nel caso sia disponibile a concedere una piccola intervista la pubblicherò al più presto sul blog.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

good start

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu

Anonimo ha detto...

imparato molto